Le microplastiche: cosa sono, cosa fanno

Phoresta / News  / Climate Change  / Le microplastiche: cosa sono, cosa fanno
microplastiche

Intervistiamo la ricercatrice Fabiana Corami laureata in biologia e che si occupa di scienze ambientali.
Uno dei suoi principali interessi , tra le altre cose, sono le microplastiche (small microplastics) in diversenmatrici ambientali cioè: permafrost, biota (NDR- il complesso degli organismi che occupano un determinato spazio in un ecosistema), sedimenti etc. E’ autrice di vari articoli scientifici ed è rappresentante della CNR nell’assemblea dei soci del distretto veneziano per la ricerca e l’innovazione (DVRI). Ecco cosa ci ha raccontato sulle microplastiche

D. Bene dottoressa ci vuole spiegare di cosa si occupa e dove svolge le sue ricerche?

R. Sono ricercatrice dell’Istituto di Scienze Polari del CNR , sede di Venezia.
L’istituto è all’interno del Campus Scientifico dell’Università Ca’ Foscari.
Sono laureata in biologia e ho un dottorato in Scienze Ambientali , conseguito a Ca’ Foscari.
Mi sono occupata di ambiente in diversi ambiti: ricerche sulle acque antartiche e lagunari poi sui sedimenti e adesso il mio campo di ricerche principale è lo studio delle microplastiche nell’ambiente a 360 gradi.
La ricerca va dalle acque di scarico delle lavatrici fino agli organismi , pesci e molluschi.
L’approccio al problema delle microplastiche deve essere a 360 gradi per acquisire una metodica standardizzata. Oggi ci sono diverse ricerche sui vari impatti delle microplastiche ma senza una metodica standardizzata non è possibile avere confronti tra risultati.
Ecco perché troviamo o eccessivo allarme o minimizzazione e non va bene. La scienza deve avere obiettività di fondo che serve poi al legislatore, al cittadino e agli stake holder.

D. Microplastiche o plastiche monouso sono la stessa cosa?

R. Corami. Monoplastiche e plastiche monouso sono due diverse definizioni.
La plastica monouso viene spesso abbandonata in ambiente per una gestione dei rifiuti non corretta.
Altri oggetti di plastica seguono la via della raccolta differenziata, ma non sempre e il recupero porta a un riciclo completo e a un upcycling del materiale recuperato.
La plastica monouso – ma tutte le plastiche in generale se finiscono nell’ambiente (terreni, acqua etc) si frammenta per erosione ma anche per effetto della luce ultravioletta per l’azione del vento e delle onde. Così cambiano i legami polimerici, cambia la struttura cristallina.
I frammenti sono microplastiche (microplastiche secondarie) che possono avere dimensioni minuscole e quindi i frammenti non sono visibili a occhio nudo.
Parliamo di particelle dell’ordine di centinaia di micrometri (μm, un μm è un milionesimo di metro). Oppure queste particelle sono già “micro” a partire dalla fonte.

Facciamo degli esempi.

L’usura dei pneumatici è una fonte principale di microplastiche perché i pneumatici sono polimeri plastici quindi la loro usura genera frammenti che sono rilasciati nell’ambiente (aria, terreno etc.) e sono invisibili a occhio nudo. Altro esempio son le fibre sintetiche usate nel tessile (ad esempio anche quelle che permettono tessuti con prestazioni professionali) ma la filatura e la tessitura comporta che alcuni frammenti siano rilasciati nel lavaggio e che quindi entrino nelle acque (fiumi poi mari). Altro esempio ben noto sono le microbeads (microsfere) usate nella cosmetica (nei dentifrici, negli shampoo, bagnischiuma etc.) perché danno fluidità al prodotto ma sono immediatamente scaricate nell’ambiente.
Da quest’anno (2020) è fatto divieto di utilizzare le microbeads nei cosmetici.
Le microplastiche, insomma i frammenti di cui abbiamo parlato, a volte sono talmente piccoli che non possono essere intercettati dai filtri dei depuratori.
La Agenzia Chimica Europea ha dato una definizione chiara delle microplastiche e anche le indicazioni per identificare le microplastiche al fine di ottenere una metodica standard.

D. Esiste anche una definizione giuridica?

R. Le microplastiche non sono attualmente normate , fanno parte degli inquinanti emergenti ma non sono presenti nell’elenco di controllo (watch list). Però le microplastiche sono state trovate ovunque e quando dico ovunque intendo in ogni luogo, in ogni essere vivente e in qualunque area geografica. Il problema delle microplastiche è globale e non locale e dura nel tempo. Perché la plastica è multiuso e diffusa, è durevole e inquinante: oggi mi trovo ovunque microplastiche che possono essere tate sversate (finite nell’ambiente) anche venti anni fa.

D. Cosa fanno le microplastiche quando sono nell’ambiente?

R. La plastica, come tutto quello immesso nell’ambiente, viene colonizzata da organismi patogeni. Le microplastiche sono vettori per virus e batteri patogeni per la salute umana e degli animali. I polimeri plastici hanno additivi tra i quali composti nocivi alla salute ambientale e umana ma anche metalli che sono tossici. Le microplastiche sono quindi il veicolo di altri inquinanti.

D. Biodegradabilità: cosa vuol dire?

R. Biodegradabilità significa che qualche organismo è in grado di utilizzare un composto così com’è e di riportarlo al suo stato elementare (anidride carbonica, acqua e sali minerali). Un composto è biodegradabile se può essere utilizzato come fonte di energia come accade per esempio con lo zucchero che può tornare ai suoi componenti basilari, anidride carbonica e acqua. La plastica che è un polimero carbonioso è biodegradabile se c’è un batterio che usa quella fonte di carbonio che quindi lo ricomposta per produrre energia. La biodegradabilità è riciclo totale, non ci sono scorie. (continua)